Cosa non si fa per amore – il ponte di Sant’Ambrogio.

Cosa non si fa per amore.
Dovrei metterci un punto di domanda, se solo non sapessi già la risposta.
Tutto.
Si fa tutto.
Come accompagnarlo alla Fiera dell’Artigianato (a cui tu sei già stata qualche giorno prima) la domenica, che oltretutto cade di Sant’Ambrogio (lascio a voi libero spazio all’immaginazione), e, ciliegina sulla torta, CON LA FEBBRE.
E un mal di gola atroce che neanche Ancelotti nei suoi giorni peggiori.
La metropolitana è di per sé un delirio la domenica, figuriamoci il primo week end di regali che, ovviamente, combacia con Sant’Ambroeus (potrei ripeterlo altre quindici volte, al momento lo considero come causa di ogni mio male da qui all’eternità). E allora via, famiglie rinchiuse in casa per tutto l’anno, proveniente da ogni provincia lombarda, tutti in centro a Milano perché non esiste nessun’altra città nel mondo! Solo Milano!

Ci metto cinque minuti per fare 60 metri, tra spintoni e bambini che urlano e madri che si piegano chiedendogli perché stanno urlando, non lo so madri, vedete voi, avere tre anni ed essere circondati da giganti che vi schiacciano i vostri piccoli piedini e vi sballottano di qua e di là non deve essere molto piacevole. Io preferirei essere sul divano di casa a guardare Balto e ciucciarmi il dito accovacciata accanto a mia madre, se avessi tre anni, per dire.
Ma forse i miei erano altri tempi.
Essì, perché se parli ad un quindicenne di quando quindici anni li avevi tu (otto anni fa, non quarantadue) ti guardano come se venissi da Plutone e ti chiamano Signora, giusto perché sanno che la cosa ti fa incazzare come poche altre cose al mondo.
Tipo i bambini che camminano per strada, dicevamo.
Statevene a casa. Tornatevene nel vostro paese, ma letteralmente, che sarà a un’oretta di macchina da qui.
Vi mettete davanti al camino, il focolare acceso, e se non lo avete uno lo fate dando fuoco ai vostri bambini, un modo molto semplice per risolvere tutti i vostri problemi, e anche i miei.

Dicevo, il delirio, la rete che non prende, io che soffro di claustrofobia e in metropolitana tutti spiattellati tra un’ascella e l’altra e pensare “C’è di peggio nella vita, non morirai oggi. Non morirai, c’è di peggio. Non morirai. c’è di peggio.”
Nel frattempo, inizi a sentire l’influenza che hai da giorni trasformarsi, senti caldo, poi un brivido, un altro ancora. Eccola. La febbre.
Lo sapevo sarebbe arrivata DI NUOVO, dopo una pausa di ben un giorno, nel suo mondo evidentemente Dio riposò di sabato e allora via al lavoro la domenica, a contaminare Giulia perché evidentemente è così appagante.

Io e R. facciamo il giro che ho fatto io appena qualche giorno prima, e che faccio ogni anno. Oriente – Iran che devo prendere i pistacchi allo zafferano che quelli presi lunedì già li ho mangiati ed evidentemente li hanno mangiati tutti perché non ce n’erano più – Colombia che il caffè è buono ma io non posso prendere nemmeno una misera tazzina di caffè perché sto maleEuropa e Torre Eiffel (letteralmente) (R. si fa il giro di cibarie tra Grecia, Austria, Portogallo, di nuovo Austria e io a mangiarmi una “striminzita” Sacher perché sto male e ne approfitto per mangiar poco, la febbre dicono faccia dimagrire) – Trentino e Alto Adige – Campania che lui deve assolutamente scroccare assaggi di mozzarella (per due ovviamente, perché donne, noi a questo serviamo.)
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Una cosa volevo da questa fiera. Mangiare vietnamita. Lunedì non ci sono riuscita perché c’era troppa gente e io ero stanca, ieri non ci sono riuscita perché c’era troppa gente, ero stanca e avevo la febbre.
Ma tralascio la cosa senza troppa importanza, non vedendo l’ora di andarmene via.
Ed eccola, FINALMENTE, l’uscita. Ormai le mie gambe vanno da sole. Pensavo di farmi regalare una carrozzina in modo da usarla il prossimo anno.
Il posto in metropolitana, riesco a sedermici e fioccano istanti di felicità pura. Istanti che durano troppo poco però. “Hai gli occhi lucidi.” “Lo so, mi sento la febbre, toccami.”
Quando dici ad un uomo ‘toccami’ e lui ti tocca sulla fronte significa che stai davvero male.
Non è finita qui. Sento il bisogno di coccole, di calore umano che non sia il mio febbrile. Andiamo a casa con sua sorella e il suo fidanzato, finiamo su un porno d’autore del ’93 con Javier Bardem la cui conclusione è: sposatevi uno con due rolex che tanto poi arriva Benicio Del Toro a farvi da giardiniere.
Prossima destinazione: casa mia. Tra stenti e sforzi, con la sua sciarpa attorno al collo (perché io sto male ma continuo imperterrita ad uscire di casa seminuda), mi misuro la febbre, supera il 38.
(Update: stasera, 24 ore dopo, ho 38.3, domani concerto di Elisa, a cui non voglio mancare. È stato bello vivere. – più o meno.)
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Riassumendo, All I want for Christmas is fare pace col mondo, una carrozzina e mangiare vietnamita.

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