Mercoledì sera sono andata da Francesco, abbiamo ordinato giapponese. Lui non aveva fame quindi ha preso poche cose, peccato che poi si sia mangiato metà delle mie. Sempre perché non aveva fame.
Uomini.
L’abbiamo fatto, ma dopo un quarto d’ora lui era tutto “Non so cosa mi fai, non ce la faccio, scusa. Tanto fra dieci minuti ti scopo di nuovo.”
Risultato, siamo stati un’ora nudi, sdraiati uno sopra l’altro, a parlare di cibo, di vestiti, e delle tartarughe che ho intenzione di fargli prendere.
Poi ha mantenuto la promessa, anche se non era necessario.
Per noi donne non avere un orgasmo non è necessariamente visto come un fallimento. Conta l’insieme. Per me passare ore a letto a parlare del più e del meno mentre lui mi accarezza una coscia e mi da i pizzicotti alla pancia è sesso esattamente quanto sentire che si muove dentro di me.
Forse persino di più.
Mercoledì era anche l’anniversario di uno di quei momenti che hai dentro, che avrai dentro per sempre, e che pensi che non vorresti mai avere lì, dove invece stanno, ma subito dopo ci ripensi, perché non saresti la persona che sei oggi, senza quei momenti. Anche se fa male da uscirci fuori di testa.
A. Pinna
A. mi manca, ma col tempo ho capito che lui era già nel mio passato fin dal nostro primo incontro. Non avremmo mai potuto ordinare giapponese, mangiarlo al tavolo di casa sua, baciarci come se fosse la cosa più naturale del mondo, spogliarci come se fosse la cosa più naturale del mondo, salutarci sapendo che ci saremmo rivisti presto.
Non avrei mai potuto scrivergli “Domani mattina facciamo colazione insieme?” perché lui la colazione la fa/faceva/farà a casa sua, insieme al suo cane e alla sua fidanzata.
Tra di noi le cose funzionavano perché eravamo entrambi timorati della vita. Ci alimentavamo delle nostre paure.
Ma prendere la strada sbagliata non mi eccita più. La normalità è di una bellezza disarmante.