Sono depressa. Sì, strano. In questi giorni sono a) sommersa dallo studio b) da vari dolori fisici, perché le magagne non vengono mai da sole, tra cui un dente del giudizio che però devo aspettare a togliere causa punto a c) tempo vuoto, spento, un grigiume senza senso che non si vedeva a Milano da molto tempo, nonostante la fama d) tristezza mista ad angoscia dovuta all’attuale situazione di disastri e possibili attacchi futuri.
Quindi, pensavo, io che odio il freddo e sono meteoropatica(tra le tante altre cose), perché non sorridere delle disgrazie altrui, quelle poche volte in cui è concesso?
Tipo, oggi ridiamo per gli abitando di Jakutsk.
Quella che è, dati alla mano, la città più fredda del mondo. Dove, se non in Russia? Più precisamente in Siberia, dove un tempo spedivano vagonate di persone per lavori forzati, ai tempi dei Gulag.
Il fotografo neozelandese Amos Chapple è andato a farci un reportage: paesaggi stupendi, neanche a dirlo, ma tanti disagi irreversibili, primo fra tutti: i bagni sono in casette di legno collocate all’esterno, perché le tubature si congelerebbero. Come le macchine lasciate fuori, o le luci sugli alberi di Natale, che non reggono la temperatura.