Quando il sabato sera si trasforma nel momento più adatto per elaborare un lutto

Sabato sera. Pigiama di emergenza, quello bianco e rosa con su cagnolini così teneri che tò, gli faccio pure il verso. Coperta di pile pesante. Addosso un pile altrettanto pesante.
Giulia l’antisesso.
Calorifero a 22 gradi, giusto perché la primavera a Milano quest’anno è particolarmente mite.
Televisione accesa sull’ultima stagione di Masterchef USA, che già ho visto mesi fa, ma aragoste + Gordon Ramsay = lo guarderei all’infinito e oltre. Il libro sulle serie tv americane che devo studiare, chiuso, ovviamente, con dentro un evidenziatore aperto da più o meno dodici ore. L’osmosi resta il metodo più usato dagli studenti per assimilare contenuti.
I cioccolatini Lindt che mia madre continua a nascondere e che io continuo a trovare. Gli scheletri di plastica di un estathe e di due bondì.
Acqua. Naturale, perché mi voglio tenere leggera.
Tanti di quei fazzoletti che devo aver svaligiato un intero supermercato senza essermene resa conto.
Mollettone tra i capelli.
La voglia di lavarmi di un ornitorinco.
La gatta che mi si siede sulla pancia e mi alita in faccia.

Il lutto.
Non so se mi manchi più tu o se mi manco più io.

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