Un bel respiro e che l’ultimo atto abbia inizio.
Più di un mese che rimando questo post, e di conseguenza tutti gli altri si sono accodati. Le foglie hanno iniziato a cadere ed è arrivato il tempo di affrontare l’arrivo dell’autunno.
Per quanto l’aria spensierata dell’estate sia ormai lontana, non sopporto lasciare le cose a metà, quindi, via con la parte migliore della nostra vacanza.
Camargue.
(Ricordo che queste sono tutte foto fatte con la digitale, ma non temete, a brevissimissimo ho intenzione di aprire un blog di sole fotografie. I fenicotteri si vedranno meglio.)
Non tornavo in Camargue da davvero tanti anni, ero piccola, ricordo i fenicotteri e poco altro, però. Ad esempio, avevo dimenticato l’immensità della natura, dove tori e fenicotteri quasi si incontrano.
Certo, appena entri a Saintes-Maries-de-la-Mer, una delle due città della regione, percepisci l’aria da Rimini che si respira in ogni dove, ma un po’ di sano rumore a volte fa anche bene, se preso a piccole dosi.
Il mercato di prodotti tipici, i bambini (decisamente troppi per i miei gusti), gli abitanti del posto alle prese con le bocce, la simili bora in riva al mare, R. che mi costringe a salire in cima alla chiesa A PIEDI, i menù dei ristoranti scritti in italiano (giusto per farvi capire la quantità di italiani che si concentra in un’unica città).
Ammetto che non è stato così male come può sembrare ad una radical chic come me.
(Davvero.)
Il nostro hotel (che proprio hotel non era), fortunatamente distava un paio di chilometri dalla baraonda.
Proprio hotel non era, perché in realtà le camere erano dei mini cottage, delle cabanes, circondate dalla palude. Nonostante io fossi stata già chiara con R. “Se vedi un insetto, vai e uccidi“, per qualche strana ragione, di insetti ce n’erano veramente pochi.
Umidità a parte, che ci (anzi, mi) ha fatto dormire molto poco, è stata una bella parte di vacanza.
Anche la parte in cui siamo stati sgamati dalla signora delle pulizie la mattina dopo, mentre eravamo intenti a fare quello.
Sì.
Cose che capitano.
But “the best is yet to come”: Saint-Tropez mon amour.
La storia tra me e questa città dura letteralmente da tutta la vita. Vengo in Costa Azzurra con i miei da prima che nascessi, e la tappa St. Tropez non è mai mancata.
L’ho vista crescere e mi ha vista crescere.
Passeggiare lungo il famoso porto mano nella mano con una persona che non è palesemente mia madre mi ha fatto sentire grande e, ancora di più, cambiata.
E’ stato strano ma bello, semplicemente.
Ed è stato altrettanto bello infilarsi su e giù per le vie interne e sentirsi in quella posizione privilegiata di provare familiarità fra quelle mura, che pochi hanno, tra tutte quelle persone che ogni sera mettono piede in questo piccolo paradiso.
Il tutto reso, se possibile, ancora più perfetto dall’hotel a cinque stelle a due passi dal porto che io ho magistralmente trovato (non che ci fosse molta scelta). Tra un aperitivo in piscina, spendere più in mance che nell’intero soggiorno, la colazione divisa in reparti e la doccia grande quanto due ascensori, sì, è stata decisamente un’ottima scelta.
Il tutto ad un modico prezzo, come potete immaginare. Mia madre quando ha saputo quello che abbiamo speso si è messa le mani tra i capelli.
Ma tutto regolare, madre. Ci siamo divertiti.
E sì, ci siamo divertiti davvero.
Tornare a casa è stato strano, sembrava passato molto più di una sola settimana, sembrava che io e R. ci conoscessimo da più o meno sempre.
Forse è stato prematuro, ma, alla fine, l’unica cosa che conta è essere stati bene. Davvero bene.
Ho conosciuto una persona nuova, lati di lui che nei mesi precedenti non mi sono mai preoccupata di scoprire. Non credevo di essermi persa così tanto.
Fortunatamente non sempre è troppo tardi.
Sto vivendo la prima vera storia normale di tutta la mia vita, ed ha un sapore diverso da tutte le altre. Un sapore strano.
Autoparafrasandomi, ‘strano ma bello, semplicemente.’
(Ps: le due panoramiche sono di R. Diamo a Cesare quel che è di Cesare.)