Ieri è arrivato il gran giorno.
Non ero affatto agitata, come potete notare:
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La faccia da travestito che ho la mattina. La faccia. Stendiamo un velo pietoso.
Ripercorro le mie abitudini, pioggia, colazione, Biancolatte, Fede, io le parlo dei miei drammi e lei mi parla di Pietro.
Gli uomini hanno questa cosa addosso, dentro, ovunque, che anche se li conosci da un mese ti credono persa di loro quando magari tu fai fatica persino a ricordare il loro nome.
Mi chiede se sono agitata. Me lo chiede ogni due minuti.
No. Ho solo un po’ di nausea. Ma non per il tatuaggio, ma perché doveva esserci lui lì con me.
‘Non pensarci, bevi il caffè, ridi, pensa a Pietro, e ridi ancora.’
Funziona un po’ sì e un po’ no.

Arriviamo con dieci minuti di anticipo. È ancora chiuso.
Fede si accende una sigaretta. È in questi momenti che vorrei tornare a fumare. Riparate appena sotto l’insegna del Quetzal, una pioggerellina sottile ma intensa, di quelle che anche se non ci sei sotto ti prende comunque.
Metafora di tanti aspetti della vita.
Metafora di tante persone.
Metafora di lui.

“Ciao ragazze, cosa dovete fare?”
“Io devo fare un tatuaggio.”
“Ma dai?!” e ride.
Iniziamo bene.
Ecco perché devo sempre prepararmi prima le cose da dire. Come gli schizofrenici.
“Con chi avevi appuntamento?”
“Non lo so.”
Va sempre meglio.

Fede mi fa l’in bocca al lupo. Ansia. Non lo sa che porta sfiga?
Sono dentro in tre. Il tatuaggio me lo fa Angelo, ho letto di lui, è uno famoso, a posto. È anche gnocco.
Cazzo, se lo è.
Mi tolgo la giacca, un vestito senza spalline, una quarta, non la copre. E tutti impalati come dei pesci lessi.

Mi chiede di me, cosa studio. “In Statale?”
Ma mi hai visto? Per chi mi hai preso? Mi sento offesa, ma lo perdono solo perché da lui mi farei fare cose oscene, e non sulla pelle, ma dentro.
“Hai paura?”
Ecco. Sentite qua. Ripeto, SENTITE QUA:
“Mah, non lo so, però se penso che mi faccio la ceretta totale, ma tutta eh, proprio ovunque, posso tranquillamente fare un tatuaggio.
Da dove mi escono certe oscenità. Da dove. Va bene dirlo agli amici, ma ad uno sconosciuto con il triplo della mia età mi pare troppo, visto il contesto.
Rimane impalato ed imbarazzato, e non mi sembra tipo da imbarazzarsi facilmente. Dai, brava Giulia.
Stendiamo un velo pietoso – parte due.
Mi fisso allo specchio, mentre l’ago mi riga la pelle.
I capelli, i capelli cristo. Dannata pioggia.
Sposto lo sguardo sulla borsa di Michael Kors, sopra, la giacca. L’altro giorno la mia estetista ha passato quindici interi minuti a fissarla, con occhi sognanti, sussurrando tra sé e sé che è bellissima.
Certo, è mia.
Devo cercare di non pensare a quello che sto facendo, perché sono perfettamente consapevole di stare facendo un’enorme, gigantesca cazzata.

Fatto. A posto. “Bellissimo, bravissimo. Mi piace.”
Il tette power mi fa avere anche venti euro di sconto.
“Fede, ma l’hai visto? Mamma mia.”
“Sì, figo, ma un po’ troppo avanti con l’età.”
“Appunto! E’ perfetto per me.”
Io e le passioni sbagliate.

Riassumendo:
Devo solo passare il resto della mia vita ad autoconvincermi di aver fatto questo tatuaggio per me e non per te.
Che ci vuole.

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È sempre in uno stato d’animo non destinato a durare che si prendono risoluzioni definitive.
Marcel Proust

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