Sono andata a vedere Chiamami col tuo nome e, quando il film è finito e si sono riaccese le luci, la signora seduta qualche posto dopo il mio, passandomi davanti per uscire, mi ha guardato con uno sguardo pieno di tenerezza.
Credo volesse abbracciarmi.
Io volevo solo restare lì, seduta, a fissare un po’ il vuoto, che è una cosa che mi capita spesso di fare.
Ho imparato a prendermi i miei tempi, che spesso non coincidono con quelli del resto del mondo.
E neanche con quelli del cinema Odeon, visto che sono stata praticamente sbattuta fuori dal minaccioso sguardo della maschera.
Lo so, lo so, devono entrare gli altri. Preparateli, volevo dirgli.
Così sono uscita e ho messo la colonna sonora del film su Spotify. In silenzio, tra la folla, sulle note di Sufjan Stevens, la mia anima era in piena tempesta emotiva.
Non appena i miei occhi tornavano a bruciare un po’ meno, di nuovo i singhiozzi. Non mi interessavano neanche gli sguardi degli altri, pensavo che se fossero stati al posto mio avrebbero fatto la stessa cosa.
Avrei voluto dire ad Elio che lo so anch’io, come ci si sente, quando la persona con cui hai condiviso così tanto ti dice “Ricordo tutto” con la voce spezzata, sussurrata, come se fosse un segreto così prezioso da tenere chiuso lì, per sempre, però vado avanti senza di te.
Lo so com’è, sedersi davanti al camino a guardare la legna bruciare, perché non sai dove altro andare.
Sentirsi persi, con tua madre che ti chiama e tu che non la senti.
Vorrei dire ad Elio che le persone come lui, come noi, si sentiranno così per tutta la vita.
Il padre di Elio somiglia a R. con dieci, quindici anni in più.
Mi sono tormentata tante di quelle volte, dicendo a me stessa che non l’avrei visto invecchiare, e invece sì.
La somiglianza è incredibile, a tratti spaventosa.
Il sorriso, la linea della barba e le sue sfumature, la dolcezza dello sguardo, la forza degli zigomi, le labbra sottili.
I modi delicati, quasi femminili.
Mi sono detta che adesso che l’ho anche visto invecchiato posso andare definitivamente avanti.
E la verità è che lo sto facendo.
Per la prima volta in tutti questi anni mi sento libera.
E va bene così.
Va bene lasciar andare, quando hai esaurito le mosse per tenere insieme il puzzle.
Va bene accettare che il puzzle era finito e, alla fine, non si incastrava più.