Prima che scoppiasse una pandemia mondiale sono andata a pranzo da mia nonna, e sul comodino nella stanza degli ospiti c’era la foto di mio nonno, mentre salutava la macchina che è stata sua per tutta la vita.
Anche quando cercava di essere serio, anche quando soffriva, non riusciva a non sorridere.
Amava la vita come forse io non la amerò mai, mio nonno.
Quando mio nonno è morto è stata una liberazione. Per tutta la famiglia, ma soprattutto per lui.
L’Alzheimer lo stava divorando, quando andavo a trovarlo mi diceva “Che bella signorina, cosa è venuta a portarci?”, ma ogni giorno usciva, non c’è stato giorno nella sua vita che sia restato in casa, non avremmo mai potuto privarlo di quella libertà, anche se c’era sempre la paura che non tornasse indietro.
E invece tornava sempre.
L’ultimo giorno della sua vita è tornato piangendo mortificazione, perché davanti la chiesa voleva aiutare un “povero ragazzino” che però dal portafoglio gli ha preso tutti i soldi.
Quella notte ha avuto un’ischemia cerebrale, e dopo tre giorni di coma l’abbiamo lasciato andare.
In ospedale, vedendolo attaccato a quelle macchine, credo che nessuno di noi sperasse che sopravvivesse.
Quei pochi amici che gli erano rimasti, non si muovevano neanche più. Passavano le loro giornate seduti davanti la finestra, con la badante ad imboccarli.
Mio nonno non avrebbe meritato quella fine.
Se n’è andato in silenzio, senza soffrire e senza disturbare.
Quando mio nonno è morto avevo 19 anni, non sapevo come affrontare quella malattia, e ho preferito dileguarmi lentamente, farmi vedere sempre meno.
I 250 metri che dividevano casa mia da quella dei miei nonni si facevano giorno dopo giorno più lontani.
Alla fine, erano chilometri.
Oggi preferirei soffrire di più, ma esserci di più.
Preferirei avere la conoscenza necessaria per dire a mia madre che urlargli contro non serve. Che non è colpa sua.
Che non è colpa di nessuno.
Sono andata a pranzo da mia nonna insieme a mio fratello.
Tra una domanda e l’altra ci ha raccontato la sua vita, le difficoltà che oggi nessuno avrebbe la forza di affrontare, ma che allora erano la quotidianità, e in un attimo si sono fatte le tre del pomeriggio.