La prima confessione è che odio tutti.
A parte Davide e qualche amica, odio chiunque.
Mi sono abituata alla solitudine, al non dover far finta di sopportare gente che in realtà non sopporto.
La seconda è che odio un po’ anche questa solitudine, ormai così amica.
Una volta Alessandro, con cui uscivo circa otto anni fa, mi disse “Ma come è possibile che in una sola persona ci sia tutto questo? Una ragazza così profonda, estremamente intelligente e riflessiva, e allo stesso tempo sempre con la battuta pronta, la prima che tutti chiamano quando vogliono farsi due risate?”
Non me lo spiego nemmeno io, ma sono così, dolcemente complicata piena di contraddizioni.
Mi torna in mente Manola, di Margaret Mazzantini. Quel libro racconta me meglio di me.
Lo regalai a Lorenzo. Ad oggi, non credo lo meritasse.
Ho un’altra confessione da fare. Lo scrivo qui perché tanto non mi legge quasi più nessuno, e quei pochi che ancora mi leggono sono innocui.
È passato un anno da quando ho chiuso con Enrico. Sì, lo chiamo anche per nome.
In questa quarantena ho passato molto tempo a pensare, a tratti mi sono sentita un eremita sperduto da qualche parte in Tibet.
Ho avuto il coraggio di rileggere le nostre ultime discussioni. Penso di dover ringraziare il cielo che i manicomi siano ormai chiusi.
Ho rimproverato a lui di non essere pronto per una storia (non perché dovesse essere pronto per forza, ma allora nemmeno la inizi, no?), ma la verità è che non ero pronta nemmeno io.
Ho sempre dato per scontato di sì, solo perché era tanto che non stavo con qualcuno. Ma avevo una paura fottuta, e la nascondevo dietro alla sua.
Ho speso così tante energie nel cercare di proteggermi che non solo non mi sono protetta, ma non sono nemmeno riuscita a conoscere chi avevo accanto.
Sprecare un’occasione così è terribile.
La verità è che mi sento come quelle persone in coma, che si risvegliano e poi muoiono definitivamente.
È come se avessi dentro di me le ultime speranze di riprendere qualcosa che non è mai finito davvero, ma allo stesso tempo sto lasciando la presa.
In questi momenti di difficoltà mi sto aggrappando di più a quello che ho, piuttosto che a quello che non ho più.
Non si può aspettare all’infinito qualcuno. Nessuno merita così tanto, e io sono stanca.
Altra confessione: R. da quando si è trasferito in Australia è diventato una sorta di George Clooney.
Mi ha mandato un video (no porno, passeggiava tra i prati), e l’ho rivisto in loop per oltre mezz’ora.
Si è tagliato i capelli da solo e avrei voluto dirgli “FALLO PIÙ SPESSO”.
Mi manca, e non vedo l’ora che possa tornare in Italia e, a rischio di farmi arrestare, abbracciarlo. Quell’affetto lì, per lui, non me lo toglierà nessuno.
Per me lui sarà sempre casa.
Tutte le cose più belle della mia vita le ho iniziate per dimostrare qualcosa a lui, ed ho finito per dimostrare qualcosa a me stessa.
Ed è la cosa che più conta. L’unica che conta.
Confessioni di fine quarantena: sono diventata un po’ più pazza, non ne avevo bisogno, ma mi vado bene anche così.
Ultima confessione:
Ho scritto questo post una decina di giorni fa.
L’ho lasciato lì, ad areare un po’. O forse ad ammuffire.
Nel frattempo mi sono riappropriata della mia vita. Sono tornata a lavorare, a giocare a tennis, oggi c’era addirittura Roberta Vinci nel campo accanto al mio. Mica pizza e fichi. (Si dice così?)
Sto iniziando a vedere i miei amici e forse nei prossimi giorni potremmo azzardare ad un’uscita serale.
Tutto sta tornando al proprio posto, come se non fosse successo (quasi) niente.
Sono tornata la solita di sempre. Quella che, ad un certo punto, accetta le decisioni degli altri, i loro punti, e va avanti.
Così è la vita, almeno dicono.
E non è nemmeno tanto male, diciamolo. Sottovoce, ma diciamolo.
Nel frattempo, un grazie ai fiori e ai merli, ai passerotti, che mi hanno fatto compagnia in questi due mesi e mezzo, come forse nemmeno le persone sono in grado di fare.
Ora posso ritirare il mio premio.